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Leonida Bombace
tra i fondatori Associazione NoCap
1969-2021

L'associazione NOCAP

NO CAP nasce nel 2011 dall’iniziativa di Yvan Sagnet come movimento per contrastare il “caporalato” in agricoltura e per favorire la diffusione del rispetto dei diritti umani, sociali, e dell’ambiente. Nel 2017 la Rete Internazionale NO CAP ha deciso di strutturarsi in associazione che, di recente, ha assunto la forma giuridica di Ente per il Terzo Settore (ETS).
NO CAP è gestita da un gruppo di attivisti, volontari che mettono il bagaglio delle loro esperienze e conoscenze a disposizione dell’associazione.
Ne fanno parte professionisti di diversa formazione e competenza: esperti di cooperazione internazionale, agronomi, giornalisti, avvocati, ingegneri, commercialisti, esperti in energie rinnovabili, economia circolare e digitale, comunicazione e marketing, che operano da diverse parti d’Italia e dall’estero collaborando a distanza.
Il loro contributo, in questi anni, ha permesso all’associazione di crescere avanzando proposte e individuando soluzioni. Parte del lavoro si svolge recandosi sui luoghi di lavoro per capire i problemi e dare risposte a lavoratori e imprese.

NO CAP si autofinanzia attraverso donazioni. Per progetti specifici fa ricorso al crowdfunding per la raccolta fondi. A tale strumento si è fatto di recente appello per l’acquisto di tre mini van che hanno consentito il trasporto in sicurezza di lavoratrici e lavoratori braccianti. Tra le attività di cui si occupa NO CAP rientra anche quella finalizzata al rilascio del bollino No Cap per attestare l’adozione, da parte delle imprese, di scelte etiche sul piano del lavoro e della sostenibilità ambientale lungo tutta la filiera agricola dei prodotti.

Tale attività è supervisionata dai nostri esperti e dalla cooperativa CREI: Coop Rete Etica Internazionale. Quest’ultima ha firmato con NO CAP un protocollo di intesa per la gestione dei disciplinari e per effettuare i controlli per il rilascio del bollino. Attraverso la cooperativa si forniscono ai braccianti servizi gratuiti primari: visite mediche, assistenza nella stipula dei contratti di lavoro, alloggi adeguati e assistenza sul trasporto.
NO CAP ha acceso per prima in Italia i riflettori sul fenomeno del caporalato innescando un processo di presa di coscienza a tutti i livelli: istituzionale – con l’adozione della prima legge nazionale contro il caporalato (Legge 199 del 2016) – e imprenditoriale proponendo un nuovo modello economico basato sull’etica e sullo sviluppo sostenibile. Tale modello è stato accolto dalle aziende le quali, grazie a NO CAP, hanno iniziato un percorso virtuoso ed etico che si concretizza nell’assunzione regolare di lavoratori e lavoratrici, nel privilegiare processi naturali di coltura e nell’utilizzare fonti da energie rinnovabili per la produzione dei loro beni. Un modello che NO CAP definisce la “filiera agricola etica” contro il caporalato, che coinvolge lavoratori, produttori, trasformatori, distributori e consumatori e che premia le imprese virtuose attraverso il riconoscimento del bollino etico. In poco meno di un anno NO CAP è riuscita a far assumere regolarmente 400 braccianti (italiani, migranti europei ed extra UE), ha erogato servizi gratuiti come il trasporto, la fornitura di alloggi e l’assistenza legale per la regolare assunzione dei lavoratori; ha provveduto alla regolarizzazione degli immigrati facendo loro ottenere il permesso di soggiorno.

Yvan Sagnet insieme a Paola Pietradura ed Elena D’Anna, dell’ufficio legale e gestionale di NO CAP
Credit foto: Luciano Manna

Il modello proposto da NO CAP è considerato un esempio di best practice da diverse associazioni internazionali. Tra queste: OSEPI-Oxfam e il loro Ethical food label report 2020; Fondazione Symbola e il rapporto Rinascimento Green 2020 per il Green New Deal. Questi riconoscimenti dimostrano che il modello NO CAP è non solo possibile ma anche necessario per ridare dignità ai tanti braccianti finora sfruttati e privati del diritto di lavorare in condizioni giuste ed eque, preservare l’ambiente, offrire ai consumatori prodotti di qualità che rispettino dei parametri di etica nei rapporti di lavoro.
L’Associazione NO CAP ha preso parte attiva in Italia ai lavori preparatori per la elaborazione della Strategia nazionale al contrasto al Caporalato ed allo sfruttamento lavorativo in agricoltura sfociato nella redazione del Piano Triennale approvato il 20 febbraio 2020 dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Fa parte dei tavoli tematici sul caporalato e lo sfruttamento dei braccianti, attivati dall’INPS (Istituto per la Prevenzione Sociale) e dal Ministero del lavoro in tema di caporalato e di sfruttamento di braccianti; sta collaborando con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali sulla formulazione di una proposta legislativa sulla filiera etica.

NO CAP collabora sul territorio con diversi attori impegnati nel sociale, come la Caritas, Emmaus, Libera, e tante altre Associazioni che si occupano in particolar modo delle problematiche afferenti agli alloggi e all’inclusione sociale. Grazie al loro supporto, sono stati reperiti luoghi sicuri e dignitosi per ospitare i lavoratori nel periodo della raccolta stagionale, e avviati percorsi per l’inclusione sociale sia dei migranti (UE e extra UE) sia di coloro che versano in situazioni di degrado ed emarginazione.

In questi anni la rete Internazionale NO CAP ha partecipato e continua a partecipare a tantissimi incontri in Italia e all’estero. L’associazione ha in attivo collaborazioni e partecipazioni come speaker in alcune tra le più importanti università e centri Studio internazionali sul tema del caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori. Tra questi: Università di Antropologia e della Mobilità e delle Migrazioni di Utrecht Olanda (African Mobilities Agromafias and food sustainability in Italy), il Dipartimento di Studi Umanistici in collaborazione con il Centro Interdipartimentale di Studi sulla Cultura di Genere dell’Università di Bari, Università di Parma, Università Link Campus di Roma.

NO CAP è diventata un serio interlocutore per la stampa internazionale e nazionale nonchè per il giornalismo di inchiesta.
Il punto di forza di NO CAP è quello di offrire servizi e soluzioni per i lavoratori. Azioni concrete e condivise per evitare che la paura e la sottomissione a forme degradanti di lavoro continui ad essere vincente.

Yvan Sagnet insieme a Roberto Saviano e Fabio Fazio durante la trasmissione “Che tempo che fa” puntata del 5 novembre 2012 su Rai 3.

Lo sfruttamento del lavoro in agricoltura in Italia e all’estero

L’agricoltura è il settore economico che ha subito maggiori modifiche nel corso del tempo sia nella composizione e provenienza della forza lavoro sia per quanto riguarda l’inquadramento contrattuale, con la diffusione di contratti a tempo determinato per brevi se non addirittura brevissimi periodi. Allo stesso tempo è anche il settore con la più alta vulnerabilità perché legato alla stagionalità delle raccolte con un conseguente turn over di lavoratori spesso in nero.
Nel 2019 il settore agroalimentare è stato quello trainante dell’economia italiana rappresentando il 6,9% del PIL, con un fatturato di 538 miliardi di euro. In Italia l’62% dei lavoratori del settore agricolo sono italiani, mentre il 38% proviene da Paesi UE ed extra UE. Lo sfruttamento lavorativo è dato principalmente da forme illegali di intermediazione, reclutamento e organizzazione della manodopera, ed è praticato in totale violazione delle norme in materia di orario di lavoro, minimi salariali, contributi previdenziali, salute e sicurezza sul lavoro. Le condizioni di vita imposte a lavoratori e lavoratrici, approfittando del loro stato di vulnerabilità e di bisogno, sono totalmente degradanti per la loro dignità. Tale forma di sfruttamento è realizzata, per l’appunto, attraverso il ricorso al “caporalato”, termine con il quale si indica l’attività di intermediazione svolta dai c.d. caporali che reclutano manodopera e gestiscono in forma illegale la domanda e l’offerta di lavoro. La stagionalità della prestazione lavorativa e la brevità del periodo di lavoro acuiscono questa forma di sfruttamento.

1) Fonte:
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Rapporto Annuale: Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia (Roma2019).

Secondo i dati pubblicati dall’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro), nel 2018, su oltre 7 mila accertamenti effettuati, si è registrato un tasso di irregolarità pari al 54.8% con oltre 5 mila lavoratori interessati dalle violazioni.
L’azione ispettiva a contrasto delle cosiddette cooperative spurie ha accertato l’occupazione irregolare di oltre 28 mila persone. Nello stesso anno le attività di contrasto al cd. reato di caporalato, ossia l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo hanno interessato 1.474 lavoratori, di cui il 46% è risultato essere totalmente irregolare. Tra i lavoratori irregolari, circa il 74% erano impiegati nel settore agricolo e oltre la metà erano cittadini stranieri. Tali dati non hanno valore statistico, ma evidenziano l’importanza del fenomeno e la necessità di un rafforzamento delle attività di prevenzione e contrasto 2 ”.

2) Fonte:
Tratto dal Rapporto annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia (Roma2019). Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Ghetto “Ghana” a Tre Titoli, frazione di Cerignola (Foggia) – Credit Foto: Maria Palmieri

Tra il 2011 e il 2017, nell’Ue la quota di migranti che lavora in agricoltura è passata dal 4,3 al 6,5 per cento degli occupati. A fare da traino, con una crescita superiore alla media, fin anche di otto punti percentuali, sono state Danimarca, Spagna e Italia. Il dato più sorprendente e finora sottovalutato è l’aumento di braccianti comunitari, soprattutto rumeni e bulgari, vittime di sfruttamento, lavoro nero e caporalato sottoposti a degrado abitativo, turni massacranti, salari bassissimi e spesso anche di abusi sessuali sulle donne.

2) Fonte:
Tratto dal Rapporto annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia (Roma2019). Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Questo non avviene solo in Italia, ma anche in Grecia, Spagna, Francia. Ugualmente toccati dal fenomeno anche Svezia, Germania, Danimarca, Regno Unito e Paesi Bassi, che si avvalgono dei margini di informalità e irregolarità delle norme che regolano l’esternalizzazione della forza lavoro.
Lo sfruttamento del lavoro è una realtà che si presenta con modalità diverse a seconda del Paese. In alcuni esso è strettamente legato alla intermediazione illecita (in Italia Caporalato) spesso collegata a forme di criminalità organizzata; in altri agli strumenti legislativi – come il distaccamento dei lavoratori – che hanno lasciato finora ampi spazi interpretativi rendendo “legale” lo sfruttamento.
La recente modifica della direttiva europea sul distaccamento dei lavoratori (3) dovrebbe, se ben applicata e recepita, porre un freno al dumping sociale e salariale finora praticato. Se alcuni governi come, Italia, Germania o Gran Bretagna hanno sentito la necessità di legiferare o di mettere a punto strategie specifiche ciò significa che il problema esiste ed è reale.

Ghetto “Ghana” a Tre Titoli, frazione di Cerignola (Foggia) – Credit Foto: Maria Palmieri

Facciamo qualche esempio: nel 2015 il governo britannico ha adottato il “Modern Slavery Act” e nominato un Commissario indipendente anti-schiavitù; nel 2016 in Italia è stata emanata la prima legge contro il caporalato (L.199 del 2016) che introduce il reato di caporalato (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro); in Germania è stata prevista, a decorrere dal gennaio 2021, l’entrata in vigore del disegno di legge che vieta, all’interno delle industrie produttrici di carne, il ricorso a imprese subappaltatrici e impone l’impiego di lavoratori regolarmente assunti. Ciò per evitare che in tale settore produttivo perdurino forme di sfruttamento estremo.
Il problema esiste e non è più ascrivibile ad un fenomeno locale o nazionale o alla questione migratoria. Occorre sdoganare l’equazione sfruttamento lavorativo uguale migrazione extra UE, considerando che si è in presenza di un fenomeno che riguarda lavoratori italiani e migranti UE soprattutto dell’est Europa.

Non è più accettabile che l’UE, modello di sviluppo, di valori, pioniera delle norme più stringenti e importanti per la difesa dell’ambiente e per il riconoscimento e l’affermazione dei diritti umani fondamentali accetti al suo interno forme di schiavitù contemporanea. Non è possibile che in Europa ci sia un’intera categoria di lavoratori che vivono al di là di qualsiasi forma di diritto Così come non è più moralmente accettabile che le imprese agricole siano premiate con aiuti previsti dalla PAC nonostante neghino ai lavoratori,
siano essi UE e non UE, il diritto di lavorare in condizioni eque e giuste, operando in palese violazione dell’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali, parte integrante del Trattato di Lisbona, e del rispetto della dignità dell’uomo.
Dello sfruttamento lavorativo che colpisce principalmente l’agricoltura, ma anche altri settori finalmente si inizia a parlare. Vi è già una sufficiente letteratura in merito, non ultimo gli studi pubblicati dalla FRA – Agenzia europea per i diritti fondamentali – che mettono in rilievo quanto il fenomeno sia diffuso e alimentato dalle forti disparità economiche e dalla crescente mobilità intra ed extra Ue della manodopera (4).

4) Fonte: FRA – Studio sullo sfruttamento grave dell’attività lavorativa: lavoratori che si spostano all’interno dell’Unione europea o che vi fanno ingresso (2016).

Ghetto “Ghana” a Tre Titoli, frazione di Cerignola (Foggia)
Credit Foto: Maria Palmieri

La schiavitù oggi è strettamente collegata al modello di produzione agricola che porta – come sostenuto da una recente ricerca svolta dal Parlamento europeo – a “una generale compressione dei diritti dei lavoratori, che in alcuni casi diventa grave sfruttamento o traffico di esseri umani! ”.

No Cap ha fondato motivo di ritenere, in base alla sua quotidiana esperienza e alla sua costante attività di monitoraggio sul posto di lavoro, cioè nei campi, che la degenerazione in sfruttamento e riduzione in semi schiavitù sia piuttosto diffusa su tutto il territorio nazionale. Il fenomeno è complesso e per questo occorre un approccio globale.
Innanzitutto è necessario rivedere il funzionamento della filiera agricola dove il caporalato è funzionale ad un sistema iniquo; introdurre norme legislative chiare, controlli maggiori nei campi e nelle aziende di trasformazione e lavorazione; predisporre e offrire servizi adeguati come trasporti sicuri, alloggi, assistenza medica; e attivare campagne di informazione nei confronti delle aziende agricole e dei braccianti, per informali dei loro doveri e diritti. In questo panorama non può mancare l’informazione al consumatore affinché sia più consapevole delle scelte di acquisto per un consumo critico e consapevole.